Negli ultimi mesi sia a livello politico che sul piano scientifico è tornato in auge il dibattito sul nucleare. Il fatto è che l'agenda dell'attuale governo alla voce energia ha previsto, fin dalla campagna elettorale, di fronteggiare l'emergenza ricorrendo a questa fonte di approvvigionamento energetico. L'Italia, pur essendo stata tra le prime ad impiegare l'energia nucleare, aveva di fatto sancito l'abbandono e la chiusura delle centrali radioattive con il referendum abrogativo del 1987, all'indomani della catastrofe di Cernobyl. Adesso però il caso potrebbe riaprirsi ed evidenti appaiono i tentativi di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'argomento.
Un recente sondaggio effettuato da Demos (Istituto di ricerca politica e sociale) pubblicato sui massimi quotidiani nazionali riporta che il 47% degli italiani è favorevole alla costruzione di centrali nucleari, mentre il 44% è contrario. Una percentuale che si ribalta (contrario il 50% e favorevole il 41%) nel caso in cui la centrale fosse costruita nella propria provincia, inverando così la classica sindrome di Nimby ("non nel mio cortile").
Questa tendenza dimostrerebbe che i cittadini italiani pur essendo convinti di correre un rischio sono altrettanto coscienti che la dipendenza da fonti energetiche esterne, in particolare dal petrolio, non potrà essere sostenuta ancora per lungo tempo dal nostro apparato produttivo.
Tuttavia sebbene nelle intenzioni il nucleare dovrebbe soddisfare un quarto della domanda energetica del nostro paese, alcuni dati fanno chiaramente intuire che, dal punto di vista pratico, ciò non sarà possibile. Infatti la produzione elettrica rappresenta il 18% del nostro fabbisogno complessivo, mentre il restante 82% è destinato essenzialmente ai trasporti. In altre parole la maggior parte del fabbisogno energetico italiano dovrebbe in ogni caso fare affidamento sul petrolio e sui suoi derivati, e la quota bassissima (circa 4,5%) prodotta nelle centrali nucleari potrebbe comunque ottenersi ottimizzando la produzione e attuando politiche di sviluppo delle energie rinnovabili.
Citerei anche il fatto che, ammesso che ci mettessimo giù di brutto a costruire centrali da domani, la prima non sarà pronta prima di almeno 10-15 anni, tra tempi di costruzione (50 mesi) e iter di Valutazione di Impatto Ambientale, autorizzazioni, etc etc (fonte: ENEA).
In questi anni invece la ricerca sulle fonti rinnovabili e sul solare termodinamico (quello di Rubbia) in particolare, ci potrebbe offrire una prospettiva di lungo periodo, slegata sia dalle fonti fossili sia da quelle radioattive.
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