
di Paolo Messina/La condanna all’ergastolo, se inflitta per reati che prevedono l’ostatività, e quindi l’impossibilità di ottenimento dei benefici, non dà via di scampo ponendo il condannato in una condizione di “morte civile”, da cui guarderà passare la vita senza alcuna speranza e senza alcuna attesa di un futuro migliore.
Ogni 10 dicembre, in occasione dell’anniversario della dichiarazione ONU dei Diritti Umani, è stato indetto il quarto digiuno nazionale, con adesione di detenuti ergastolani e non, contro la condanna al “fine pena mai”.
Non è facile spiegare alle persone “comuni” cosa significhi essere un condannato “9999”. Essendo recluso per la prima volta, vivo questa esperienza in modo sconvolgente e scioccante, e se provo a immedesimarmi nella condizione dei condannati all’ergastolo mi sento davvero male. Per questo, essendo stato contattato da Carmelo Musumeci, l’ergastolano che da anni conduce una intensa battaglia per l’abolizione della pena a vita, ed avendo scambiato con lui qualche pensiero sulla questione, ho aderito con piacere a questa azione di sensibilizzazione.
Nei giorni scorsi, insieme ad altri detenuti della Dozza, abbiamo raccolto 400 firme, aderendo poi al digiuno programmato per il 10 dicembre; auspichiamo che con questa forma di protesta pacifica si possa smuovere l’opinione pubblica e politica. Aggiungo che, con il senno di poi, fra queste mura, sento il bisogno di fare un appello accorato alle nuove generazioni perché non intraprendano mai la via del crimine.