Che tipo di contributo può dare il Terzo Settore all’agenda digitale del territorio? E’ da questa domanda che il Forum Terzo Settore della provincia di Bologna e BandieraGialla sono partiti per cercare di capire in che modo associazioni, cooperative e gruppi di volontariato partecipano effettivamente ad internet e in che modo lo fanno. Non siamo andati alla ricerca di dati, di percentuali, ma abbiamo realizzato una serie d’interviste che hanno coinvolto personaggi istituzionali, rappresentanti di gruppi del Terzo settore, specialisti di comunicazione digitale. In questo modo, raccogliendo le esperienze del territorio e riportando le opinioni abbiamo cercato di dare una risposta ad una serie di altre domande.
Innanzitutto c'è un problema di formazione adeguata alle nuove tecnologie: “Oggi il problema è che non puoi utilizzare gli strumenti del web 2.0 con una logica di spontaneismo”, dice Marco Trotta, garante per la partecipazione all’Agenda Digitale cittadina. Visto che l’età media di chi opera nel Terzo Settore è piuttosto alta, si presuppone una formazione al digitale carente. Le risorse economiche destinate alla formazione sulle nuove tecnologie non sono molte; invece la conoscenza degli strumenti digitali è importante e questa formazione deve essere continua poiché il web è sempre in trasformazione. “ Il Terzo Settore conosce bene le potenzialità del web - spiega Edoardo Dusi di Webforall - ma non sanno come accedere, non hanno soldi per pagare dei professionisti”.
Di qui l’importanza di gruppi del Terzo Settore che cercano di dare una risposta a queste esigenze: è il caso delle Girl Geek Dinners, di Sociallab, di Webforall, gruppi composti da gente piuttosto giovane e che ha come mission quella di formare i cittadini (anziani, donne, volontari…) all’uso del web. Ma è possibile che questa responsabilità sia solo delle associazioni? E la scuola, le istituzioni?
Un ente pubblico per poter iniziare una conversazione digitale significativa deve poter contare su gruppi organizzati come sono quelli che si occupano di sociale. “L'agenda digitale non è un percorso di pochi - afferma Leda Guidi, responsabile dei "Servizi di Comunicazione" del comune di Bologna - ma riguarda tutti i cittadini, singoli o organizzati che sono chiamati a dare il loro contributo di idee, progetti, aspettative". E, insistendo su questo punto, afferma Matteo Lepore, assessore del Comune di Bologna con delega alla Comunicazione: ”Associazioni, gruppi legati a bisogni e progetti specifici, possono costituire una rete civica abilitata a condividere messaggi, contenuti, a scambiare servizi”. Mario Barbuto dell’Istituto per ciechi Cavazza si chiede invece se la rete sia veramente accessibile anche alla persone disabili, in caso contrario una fetta consistente di cittadini rimarrebbe esclusa da questa conversazione con le istituzioni e il suo apporto verrebbe meno.
Esiste anche un problema di equilibrio tra la partecipazione digitale e quella reale, per le strade: “Il digitale non rappresenta un'alternativa ai luoghi di partecipazione tradizionale (centri giovanili, centri anziani, ecc..) - sostiene Tullio Maccarrone di Anastasis - non possono sostituire i processi di progettazione e programmazione partecipata a presenza diretta (tavoli di confronto, Piani di zona, ...) ma possono facilitare le forme di autorganizzazione, la diffusione di idee, iniziative e proposte”. Dello stesso parere è Elena Giuntoli: “ll web e i suoi strumenti semplicemente accelerano processi di conoscenza e connessione che sarebbero altrimenti lunghi o impossibili da attivare nella sola dimensione fisica. La rete è prevalentemente un catalizzatore e acceleratore e non può rimanere l’unica dimensione di partecipazione alla vita pubblica: è necessario anche un incontro fisico".
Di domande con risposte incerte ne sono emerse altre da questo lavoro; ad esempio quali sono le differenze culturali e valoriali tra le associazioni “classiche” e quelle formate da gente più giovane e centrate sulle tecnologie digitali, un modo per dire anche che ogni processo di formazione per essere buono dovrebbe essere reciproco.
Infine un’altra domanda decisiva: ma se la conversazione digitale prende piede, se il cittadino organizzato protesta, suggerisce e propone poi l’ente pubblico è in grado di dare una risposta? Riuscirà a gestire, anche politicamente, una società così attiva, così partecipante?